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Un concerto davvero irripetibile, e di un fascino irresistibile per ben cinquemila persone.
Un concerto che voleva essere un “viaggio verso casa”.
Casa è dove si parla la stessa lingua. Non una lingua di parole che si sorridono o si scontrano o si traducono, ma di qualcosa di più universale e immediatamente comprensibile a ogni uomo: come la musica, come i miti. Vinicio Capossela e il cretese Psarantonis l’hanno dimostrato con forza, trascinando il pubblico in un viaggio che è sembrato puntare dritto all’origine dei tempi. Un itinerario in due tempi, perché l’amore e la curiosità che uno dei cantautori più originali e vivaci del panorama italiano riescono a suscitare, hanno portato moltissime persone a salire al Rifugio Vajolet. Una affluenza straordinaria, che ha spinto l’artista e I Suoni a proporre un primo spettacolo alle ore 6 (della durata di quaranta minuti) per salutare l’alba e onorare chi è salito nella notte lungo i sentieri della Val di Fassa, e a proseguire quindi con un secondo momento alle ore 8, una volta atteso chi stava ancora salendo. In totale oltre tre ore di musica, poesia, letture…
Il Vajolet e il pubblico sono ancora nell’ombra quando inizia la seconda parte. «Sembra un accampamento di Ussari» dice questa volta il cantautore e regala la sua “Alba degli Ussari” prima di rincorrere il tempo. Eccolo incalzare Psarantonis – dopo un brano esplosivo – per raccontare la storia della lira. Lo strumento è stato creato da Zeus come dono a un pastore che l’aveva ospitato e sfamato ed è imbracciato dai musicisti e dagli aedi che raccontano la storia come se ci fossero stati. A lui, aedo d’oggi, Capossela dedica una canzone costruita su un dittico di Psarantonis e perfetta per la montagna: «Siamo due coste di rupe, aspettiamo un terremoto per riunirci di nuovo in un solo canto».