Diritto alla nascita in montagna per le donne di Fassa, Fiemme e Cembra

Da il 24 marzo 2017
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FASSA e FIEMME.  Un  marzo non proprio felice e che lascia l’amaro in bocca, quello vissuto in queste settimane da moltissime donne delle valli di Fassa, Fiemme e Cembra, spiazzate dalla notizia che il Ministero della Salute non ha approvato la riapertura a tempo continuativo del punto nascite e del reparto di ostetricia, ginecologia e pediatria dell’Ospedale di Fiemme, a Cavalese, mentre ha confermato il mantenimento di Cles.

Un colpo duro per tutte le donne che sono in attesa, che si vedranno chiudere un punto nascite d’eccellenza, sia nei servizi che nella gestione prima, durante e dopo il parto, insieme ai servizi di puericultura e ostetricia sempre attivi e presenti nel seguire la donna durante il percorso più affascinante e complesso della sua vita: diventare madre.

Ma il colpo è ancora più duro da digerire se anche il reparto di pediatria non viene più garantito continuativamente, dove i genitori non potranno più contare su un servizio di aiuto 24h e gestione dei propri figli in situazioni di emergenza, e dove rimarrà aperto con personale ridotto dalle ore 8.00 alle ore 20.00, mentre per le emergenze rimane come riferimento Trento.

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”Le nostre valli”, secondo molte mamme di Fassa, “non sono più così sicure, non sono più quel posto salutare e protetto in cui vivere”.

Un pensiero comune, anche per chi mamma è diventata da poco. E lo vorrei dire anche io, sebbene il mio mestiere mi impone l’assoluta imparzialità informativa; ma essendo diventata mamma l’estate scorsa, ho vissuto anch’io in prima linea questa problematica da vicino, con un reparto aperto dalle ore 8.00 del mattino alle ore 18.00 di sera nella continua incertezza per l’imprevedibilità del momento del parto.

Nonostante questo disagio, sono stata accolta, durante i prodomi del travaglio avvenuti di sera, dal pronto soccorso di Cavalese che, vista la situazione precaria in cui verteva la mia situazione, mi ha inviata con un auto ambulanza all’ospedale Santa Chiara di Trento, dove dopo 24 ore ho dato alla luce il mio bambino. Lo staff del Santa Chiara è stato impeccabile, nonostante l’evidente difficoltà nel gestire tante gestanti in un reparto solo.Così, per problemi di tipo allergico ed ambientali legate alla mia situazione e di spazio, con grande mia gioia, sono stata trasferita a Cavalese, dove sono stata seguita con amore, considerazione ed attenzione, essendo l’unica mamma del reparto. Un reparto che funziona indubbiamente, in grado di prendersi cura della gestante e della neomamma con serietà e amore; cosa assai più complessa a Trento nonostante il personale davvero competente, per una questione logica di sovrannumero di partorienti.

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Un iter simile è toccato in sorte a diverse mamme di Fassa e Fiemme che sono dovute andare a partorire a Trento o a Bolzano, per poi rientrare in valle senza poter stare “a casa loro”, insieme a chi le aveva seguite per tutto il percorso di preparazione al parto, e dove, si sa,  le Valli dell’Avisio sono le prime a seguire un programma di assistenza e preparazione e gestione della neo mamma post partum davvero d’eccellenza e d’avanguardia, grazie alle ostetriche e puericultrici presenti sul territorio.

“Questo è un colpo al cuore per tutti le famiglie delle nostre valli”, ha dichiarato una mamma di Pozza”e siamo ad un passo dalla chiusura certa del nostro ospedale, perché si sa, si inizia da un reparto per arrivare a tutta la struttura”. Un momento difficile anche per i genitori di bambini di età superiore all’anno, visto che anche pediatria non sarà attiva se non in supporto.

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“Dovrà succedere qualcosa di grave prima che le istituzioni, la provincia e il ministero della salute intervenga in modo drastico! Siamo stufi di aspettare tragedie!” questo il grido di diversi genitori preoccupati. Ma c’è anche chi vede questa decisione come una nuova possibilità di crescita e di ampliamento di vedute: “Voglio vedere questa chiusura come un’opportunità per noi donne e madri, perché possiamo ricominciare ad ascoltarci e fidarci di noi stesse. Un’opportunità al diffondersi di forme diverse di approccio alla gravidanza, alla maternità ed alla nascita che, già esistono in altre zone d’Italia, come case maternità, punti nascita privati, ostetriche a domicilio”.

Senza fare allarmismi, si potrebbe certamente pensare a nuove realtà, mantenendo ben chiaro il concetto che la prevenzione e la sicurezza dei cittadini dovrebbe esser garantita in ogni luogo, anche in montagna, perché il minimo sindacale, in Italia, dovrebbe essere doveroso per ogni madre.

Demoralizzate e dispiaciute anche le ostetriche e il personale paramedico e medico del reparto, che si è visto sottrarre la terra sotto i piedi non potendo svolgere il proprio lavoro con devozione e passione in condizioni normali. “Bisogna scendere in piazza, manifestare il nostro disagio, scendere in strada con passeggini e figli, farci sentire e lottare per la nostra salute, che è un diritto” replicano delle mamme di Predazzo e Moena.

Ma le speranze non muoiono mai, si aspettano nuovi sviluppo dopo le manifestazioni in piazza e al palaghiaccio di Cavalese con le istituzioni provinciali, per dire che il diritto di nascita e vita anche in paesi montani è un diritto inviolabile.

Federica Giobbe

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